Crescono le iscrizioni alle facoltà scientifiche, ma calano investimenti ricerca
La facoltà di matematica è quella che ha registrato il maggiore progresso ma l'Italia è ancora in ritardo rispetto al picco di investimenti mondiali nella ricerca
[06/12/2007]
Dopo anni di crisi, nelle università italiane è esploso il boom della matematica, con il 53% di iscritti in più negli ultimi due anni. E' il segno più evidente dell'inversione di rotta che sta coinvolgendo le altre discipline scientifiche di base, come fisica (+25% di iscritti) e chimica (+24%).
Sono i dati presentati a Roma dal presidente del Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura scientifica, Luigi Berlinguer, e dalla Conferenza nazionale dei presidi delle facoltà di scienze. Si è superata così la crisi delle iscrizioni alle facoltà scientifiche che aveva colpito tutta l'Europa e che in Italia, ha detto Berlinguer, ''è stata particolarmente rilevante''. L'inversione di rotta è importante, ha rilevato, ''ma è necessario continuare a lavorare in questa direzione.
Bisogna far capire che c'è bisogno di fisici, chimici e matematici in mille mestieri e in modo diffuso nel mondo del lavoro". Si chiede inoltre alle forze politiche di ''sostenere questa inversione di tendenza" e contemporaneamente, ha aggiunto, bisogna investire nelle campagne di informazione e nelle iniziative per la diffusione della cultura scientifica. Se le iscrizioni stanno risalendo, le riserse per la ricerca sono invece in forte sofferenza. Gli investimenti - come si legge su "Newton" - nella ricerca non sono mai stati così alti nel mondo: nel 2007 le spese in ricerca e sviluppo hanno superato 1.100 miliardi di dollari (2,1% della ricchezza prodotta), ma l'Italia sta percorrendo la strada opposta e appare ormai come un Paese ''in declino".
Sono i dati presentati a Forlì, nel convegno nazionale sulla comunicazione della scienza, organizzato da gruppo per l'Innovazione nella comunicazione della scienza (Icts) della Sissa di Trieste e associazione Nuova civiltà delle macchine. ''In questo cambiamento epocale l'Italia è in assoluta controtendenza", ha rilevato il direttore del Master in comunicazione della scienza della Sissa, Pietro Greco. Citando i dati del Rapporto 2008 pubblicato negli Stati Uniti dalla rivista R&D Magazin, Greco osserva che ''quello che appare chiaramente è che i Paesi che investono di più in ricerca hanno uno sviluppo economico maggiore''. L'Europa, prosegue Greco, è invece scesa per la prima volta sotto la media mondiale degli investimenti in ricerca. Per l'Italia, osserva, ''negli ultimi 15-20, rispetto al resto dell'Europa, tutti i parametri sono diminuiti, come reddito pro capite, numero degli occupati, stipendi".
Un declino legato a un ''modello di sviluppo fondato sostanzialmente sulla bassa e media tecnologia e non sulla ricerca". Pochi investimenti, appena l'1,1% del Prodotto interno lordo (Pil): le spese italiane per la ricerca hanno registrato una leggera crescita negli ultimi anni, ma sono ancora così basse da occupare l'ultimo posto nel mondo industrializzato.
Sono i dati presentati a Roma dal presidente del Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della cultura scientifica, Luigi Berlinguer, e dalla Conferenza nazionale dei presidi delle facoltà di scienze. Si è superata così la crisi delle iscrizioni alle facoltà scientifiche che aveva colpito tutta l'Europa e che in Italia, ha detto Berlinguer, ''è stata particolarmente rilevante''. L'inversione di rotta è importante, ha rilevato, ''ma è necessario continuare a lavorare in questa direzione.
Bisogna far capire che c'è bisogno di fisici, chimici e matematici in mille mestieri e in modo diffuso nel mondo del lavoro". Si chiede inoltre alle forze politiche di ''sostenere questa inversione di tendenza" e contemporaneamente, ha aggiunto, bisogna investire nelle campagne di informazione e nelle iniziative per la diffusione della cultura scientifica. Se le iscrizioni stanno risalendo, le riserse per la ricerca sono invece in forte sofferenza. Gli investimenti - come si legge su "Newton" - nella ricerca non sono mai stati così alti nel mondo: nel 2007 le spese in ricerca e sviluppo hanno superato 1.100 miliardi di dollari (2,1% della ricchezza prodotta), ma l'Italia sta percorrendo la strada opposta e appare ormai come un Paese ''in declino".
Sono i dati presentati a Forlì, nel convegno nazionale sulla comunicazione della scienza, organizzato da gruppo per l'Innovazione nella comunicazione della scienza (Icts) della Sissa di Trieste e associazione Nuova civiltà delle macchine. ''In questo cambiamento epocale l'Italia è in assoluta controtendenza", ha rilevato il direttore del Master in comunicazione della scienza della Sissa, Pietro Greco. Citando i dati del Rapporto 2008 pubblicato negli Stati Uniti dalla rivista R&D Magazin, Greco osserva che ''quello che appare chiaramente è che i Paesi che investono di più in ricerca hanno uno sviluppo economico maggiore''. L'Europa, prosegue Greco, è invece scesa per la prima volta sotto la media mondiale degli investimenti in ricerca. Per l'Italia, osserva, ''negli ultimi 15-20, rispetto al resto dell'Europa, tutti i parametri sono diminuiti, come reddito pro capite, numero degli occupati, stipendi".
Un declino legato a un ''modello di sviluppo fondato sostanzialmente sulla bassa e media tecnologia e non sulla ricerca". Pochi investimenti, appena l'1,1% del Prodotto interno lordo (Pil): le spese italiane per la ricerca hanno registrato una leggera crescita negli ultimi anni, ma sono ancora così basse da occupare l'ultimo posto nel mondo industrializzato.
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