6
drastiche e necessità di operare in più stadi con conseguente
esigenza di separazione degli intermedi.
L’obbiettivo che ci si è posti è stato quindi quello di approfondire
il lavoro di Perrottelli e indirizzarlo successivamente verso la sintesi
di prodotti differenti dal triperossido ovverosia verso il diperossido
e verso il poli-ε-caprolattone (PCL), il quale si ottiene per
polimerizzazione dell’ε-caprolattone, prodotto dell’ossidazione del
chetone corrispondente, il cicloesanone appunto.
A tal fine si è operato nell’ambito della catalisi acida per sintetizzare
tutti e tre i prodotti ed in particolare, nell’ambito dello stesso
processo di sintesi, con una differenza nelle condizioni di reazione,
si sono ottenuti sia diperossido che PCL.
Le reazioni considerate sono presentate nel seguente schema:
C6H10O + H2O2 → C18H30O6 (tricicloesilidene triperossido)
(1) (2) (3)
→ C12H20O4 (dicicloesilidene diperossido)
(4)
→ (-O(CH2)5CO-)n (poli-ε-caprolattone)
(5)
7
In questo lavoro di tesi notevole importanza ha avuto la
caratterizzazione dei prodotti, attraverso diverse metodologie
analitiche.
In particolare sono state utilizzate:
- DSC e TG al fine di individuare il punto di fusione e la stabilità dei
prodotti ottenuti
-
1HNMR e IR con lo scopo di meglio caratterizzare i prodotti
sintetizzati
Per quanto riguarda il poli-ε-caprolattone, i risultati preliminari
ottenuti sono promettenti fermo restando il fatto che il prodotto
ottenuto deve essere meglio purificato per poterlo caratterizzare più
adeguatamente.
E’stato utilizzato per la sintesi del poli-ε-caprolattone il reattore
calorimetrico RC1 al fine di determinare lo sviluppo del calore di
reazione in quanto la sintesi prevede l’impiego di un reagente quale
l’acqua ossigenata.
8
STATO DELL’ARTE
1.1 Dicicloesilidene Diperossido e Tricicloesilidene
Triperossido
La reazione di ossidazione del cicloesanone ad opera del perossido
di idrogeno, al fine di ottenere cicloperossidi e cicloperossiacidi, è
stata studiata negli ultimi 40 anni da diversi autori, che hanno
sviluppato differenti processi utilizzando diverse condizioni di
reazione.
Si possono ottenere, variando i parametri di reazione, innumerevoli
prodotti, quali perossidi ciclici e perossiacidi simmetrici e
asimmetrici.
Il dicicloesilidene diperossido e il tricicloesilidene triperossido
sono prodotti di notevole interesse applicativo. Possono essere
utilizzati come iniziatori di polimerizzazione o decomposti,
termicamente o fotochimicamente, a dare idrocarburi macrociclici e
macrolattoni, difficilmente ottenibili per altre vie e che trovano
applicazione nell’industria cosmetica e dei detergenti.
Le prime e più significative ricerche a tale riguardo sono state
condotte da Kharasch e Sosnovsky[1] (1958), che hanno ottenuto
9
l’1-1’-diidrossidicicloesilperossido operando in assenza di acidi
minerali e l’1-idrossi-1’-idrossiperossidicicloesilperossido
conducendo la reazione in presenza di tracce di acidi minerali. In
particolare si ottiene dicicloesilidene diperossido usando, come
catalizzatore, acido perclorico in acido acetico glaciale a
temperatura ambiente.
Gli idroperossidi sono intermedi nella sintesi del dicicloesilidene
diperossido (Ledaal T.[2], 1967) e la trasformazione di tali composti
gli uni negli altri è dovuta principalmente all’acidità del mezzo. Si
parte da cicloesanone e perossido di idrogeno al 34% usando,
come catalizzatore, acido perclorico diidrato in acetonitrile.
La purificazione avviene per ric ristallizzazione con acetonitrile.
La sintesi dei perossidi ciclici a partire da chetoni assume
particolare importanza nella successiva decomposizione a dare
macrocicli.
A questo obbiettivo è mirato il lavoro di Story et al.[3] (1968), che
hanno studiato la sintesi del dicicloesilidene diperossido e del
tricicloesilidene triperossido con acido perclorico e acido acetico
glaciale come catalizzatori.
Dalle osservazioni effettuate dagli autori si deduce che il
triperossido è il prodotto cineticamente controllato e che il
diperossido è il prodotto termodinamicamente controllato, per cui
si forma successivamente. La reazione è strettamente dipendente
dalla temperatura, come dimostra l’ottenimento di triperossido a
temperatura più bassa e di diperossido a temperatura più alta.
10
Uno studio che utilizza reagenti e condizioni di reazioni analoghi al
precedente, conduce ad un miglioramento della sintesi del trimerp e
di vari perossidi e perossiacidi (Story et al.[4], 1970).
Sanderson et al.[5] (1975) propongono la sintesi di
dicicloalchilidene diperossidi con un procedimento di una sola
tappa, usando perossido di idrogeno al 30%, acido cloridrico e
acido acetico glaciale con acido perclorico, a temperatura
ambiente.
Sanderson e Zeiler[6] (1975) hanno realizzato una sintesi di
diperossido e triperossido ossidando il cicloesanone con
perossido di idrogeno al 90% e resine a scambio ionico in cloruro
di metilene, a circa 5°C.
Hardling e Whalen[7] (1975) sintetizzano l’esadecanolide partendo
dalla preparazione del tricicloesilidene triperossido e
decomponendo poi termicamente lo stesso. La sintesi del
perossido è stata condotta in due modi:
- con acido perclorico, utilizzando combinazioni diverse di solventi
e temperature per ottenere il prodotto solido
- con lo stesso catalizzatore, ma in un sistema bifasico, con
solventi altobollenti per ottenere il prodotto già dissolto nel solvente
di termolisi
I due metodi vengono confrontati cambiando le variabili per
ottimizzare il processo. Si osserva che a temperatura più alta, in
11
condizioni disidratanti, si ottiene diperossido, mentre a temperatura
più alta si ottiene triperossido.
Inoltre si osserva che gli ossigeni del triperossido risultano più
esposti di quelli del diperossido e perciò il triperossido sembra
essere meno stabile verso gli acidi rispetto al diperossido.
Uno studio interessante riguardante la sintesi del dicicloesilidene
diperossido, sul quale ci si è basati nel presente lavoro, è quello
condotto da Sanderson et al.[8] (1975): utilizzarono perossido di
idrogeno al 70% o al 90%, alla temperatura di 5°C, in presenza di
acetonitrile e cloruro di metilene come solventi e di acido
metansolfonico anidro come catalizzatore.
Successivamente (1976) gli stessi autori[9] hanno conseguito un
miglioramento della medesima sintesi utilizzando solo cloruro di
metilene come solvente e ottenendo, in tal modo, rendimenti più
elevati (fino al 90%) e maggiore purezza, per la minor presenza di
trimero.
McCullough et al.[10] (1980) hanno studiato la preparazione di
diperossidi ciclici a partire da diversi chetoni, sia alifatici che
aromatici, utilizzando acido solforico concentrato come
catalizzatore, perossido di idrogeno 86%, alla temperatura di -
20°C, ottenendo una resa del 69% a partire da cicloesanone.
12
Molti di questi processi, trattandosi di reazioni esotermiche, sono
caratterizzati dalla pericolosità dei reagenti, in particolare perossido
di idrogeno ad alte concentrazioni ed acidi concentrati.
Inoltre la reazione di ossidazione può procedere a stadi con
formazione di intermedi che devono essere separati perché si possa
procedere nella sintesi, oppure può dare direttamente i perossidi
desiderati in forma solida o viscosa.
La purificazione, secondo i dati bibliografici disponibili, è possibile
solo tramite ricristallizzazione con metanolo o con acetonitrile.
1.2 Acido fosfotungstico
Uno dei catalizzatori utilizzati nel presente lavoro, l’acido
fosfotungstico idrato, è un eteropoliacido. Questi composti
possono avere differenti livelli di idratazione che influenzano le
caratteristiche strutturali e il comportamento dell’acido come
catalizzatore; diversi studi sono stati condotti per definire
l’importanza di tali caratteristiche.
Nakamura et al.[11] (1980) analizzano cristalli di AFT (acido
fosfotungstico) n idrato per determinarne la stabilità a differenti
temperature e livelli di umidità relativa. Poiché trattengono un gran
numero di molecole d’acqua di cristallizzazione, tali cristalli
disidratano facilmente se riscaldati o posti in un’atmosfera con
bassa percentuale di umidità. Si conducono esperimenti con
campioni a differenti livelli di idratazione per trovare la relazione tra
13
contenuto di acqua, temperatura ed umidità. La disidratazione
provoca un abbassamento della conduttività, essendo gli
eteropoliacidi “high protonic conductors”. Tali cristalli si possono
reidratare in atmosfera ad alto livello di umidità. L’acido
fosfotungstico 6-idrato disidrata completamente sopra i 250°C.
I cristalli di AFT 29-idrato hanno una elevata conduttività protonica
a temperatura ambiente, così come gli idrati più bassi (Nakamura
et al.[12] , 1981).
Per ottenere questa proprietà sono necessari precisi intervalli di
umidità e di temperatura, determinati con esperimenti in atmosfera
di ossigeno o aria e idrogeno. Si sono condotti inoltre esperimenti
di disidratazione per determinare il contenuto di acqua, utilizzando
misure di TG e DSC. Da tali curve calorimetriche si vede come
l’AFT 29-idrato perde 23 molecole di acqua intorno ai 100°C e le
altre 6 sopra i 200°C.
Kanda et al.[13] (1988) hanno analizzato per spettrometria 1HNMR e
31PNMR campioni di AFT a differenti livelli di idratazione. Gli
eteropoliacidi assorbono molecole polari e alcune reazioni
catalitiche avvengono per reazione delle molecole assorbite, nella
fase “pseudo-liquida”.
Si conclude che esistono tre differenti stati per i protoni dell’acido
fosfotungstico idrato:
- protoni dei campioni altamente idratati, che hanno un’elevata
mobilità
14
- acqua protonata, legata con ponti a idrogeno agli ossigeni
terminali, W=O...H+(H2O)2 (n=6)
- protoni direttamente legati all’ossigeno ponte, W-OH-W (n=6)
Aboul-Gheit et al.[14] (1989) hanno analizzato tramite TG e DSC gli
acidi fosfotungstico (AFT), silicotungstico (AST) e
fosfomolibdico (AFM).
Dai 50° ai 300°C le curve TG mostrano una perdita di peso dovuta
alla disidratazione. L’AFT non presenta variazioni di peso fra 288°
e 1000°C.
I DSC di questi eteropoliacidi rivelano che la disidratazione avviene
in tappe distinte, infatti si notano differenti effetti endotermici nelle
zone di disidratazione; l’AFT completa la disidratazione a
temperatura più alta rispetto agli altri due acidi. Questa maggior
stabilità potrebbe essere dovuta al fatto che il catione in tale
eteropoliacido è H5O2+ ed è legato, con ponti a idrogeno, agli atomi
di ossigeno più esterni degli anioni vicini.
Il numero di molecole di acqua in un eteropoliacido è relazionato
alla somma dei valori di ∆H per gli effetti riscontrati nelle curve
calorimetriche DSC.
Le analisi DSC sono inoltre state utilizzate per determinare la
distribuzione e la forza dei siti acidi in relazione a differenti intervalli
di temperatura.
Mioc et al.[15] (1990) hanno studiato gli idrati di eteropoliacidi per
determinare le specie protoniche presenti e la loro dipendenza dalla
15
temperatura tramite spettrofotometria IR e Raman e analisi DSC e
TG.
La struttura basica dell’acido fosfotungstico è una cella di Keggin
circondata da anioni (PW12O40)3- , legati con ponti a idrogeno a
molecole d’acqua.
Dall’analisi degli spettri IR e Raman si individua la presenza di
gruppi ossidrile, di ioni ossonio, che si legano con molecole
d’acqua o atomi d’ossigeno, di mutue interazioni H2O-H2O (minori
che nell’acqua liquida). Esistono tre specie protoniche: H2O, -OH,
H3O+ ed esiste un equilibrio dipendente dalla temperatura fra esse.
Analizzando il processo di disidratazione si osserva come le
molecole di acqua siano quelle che si perdono prima rispetto a
quelle di H3O+ (analisi IR).
Le curve TG e DSC mostrano come la completa disidratazione
dell’acido fosfotungstico avvenga attorno ai 250°C.
La cella di Keggin è la struttura base degli eteropoliacidi (Mioc et
al.[16] , 1991): per l’acido fosfotungstico consiste in un tetraedro
centrale PO4 circondato da dodici ottaedri WO6. Gli anioni di
Keggin formano legami a idrogeno con molecole di acqua .
Nell’AFT 29-idrato solo sei molecole di acqua si trovano in
posizioni ordinate e hanno funzione strutturale; per le altre molecole
esiste una struttura ordinata con distribuzione statistica e differenti
mutue influenze nel volume disponibile. Perciò possono formarsi
diverse specie protoniche e legami a idrogeno di forza differente.
Mentre si disidrata, la perdita di acqua è seguita da un aumento
16
della concentrazione di ioni ossonio, che possono legarsi a
molecole di H2O, come nel seguente equilibrio:
H5O2+ ↔ H3O+ + H2O ↔ H+ + 2H2O
Nel 29-idrato, dove ci sono molte molecole di acqua, a temperatura
ambiente esiste uno stato “pseudo-liquido” di specie protoniche:
ciò spiega l’elevata conduttività protonica di questo composto.
1.3 Poli-e -caprolattone: caratteristiche e impieghi
Molti polimeri naturali e sintetici sono soggetti all’attacco di agenti
biologici. Molte reazioni catalizzate da enzimi si svolgono in mezzo
acquoso, quindi l’idrofilicità-idrofobicità dei polimeri sintetici ha una
notevole influenza sulla loro biodegradabilità. E’ importante inoltre che
la catena polimerica sia abbastanza flessibile per poter entrare nel sito
attivo dell’enzima e dar luogo alla biodegradazione. La biodegradabilità
è influenzata dalla cris tallinità del polimero: infatti, se è molto alta, i
gruppi idrolizzabili del polimero divengono inaccessibili all’enzima.
L’effetto della morfologia sulla degradazione microbica ed enzimatica
del poli-ε-caprolattone (PCL) è stato ampiamente studiato. La
degradazione di un film di policaprolattone parzialmente cristallino
procede in maniera selettiva, evidenziando che la regione amorfa viene
degradata prima della regione cristallina; questa selettività è conseguente
al minor ordine della struttura amorfa, che permette la penetrazione
degli enzimi nel polimero. Studi sugli effetti del cross-linking -
processo che generalmente riduce la cristallinità di un polimero - nella
degradazione del PCL dimostrano che si verifica un diminuzione della
biodagradabilità, nonostante la dimunuzione della cristallinità, perchè il
17
cross-linking limita la mobilità delle catene polimeriche e l’accessibilità
degli enzimi al polimero.
La biodegradabilità di polimeri quali policaprolattone, poli(acido
lattico), poli(acido glicolico), copolimeri di acido lattico e glicolico,
poliamminoacidi, poliortoesteri, alfaesteri e polianidridi, ne ha
permesso l’utilizzo come matrici nella tecnologia del rilascio controllato
di sostanze farmaceutiche. Tali sistemi sono chirurgicamente impiantati
sotto l’epidermide, in modo da poter rilasciare agenti farmacologici
direttamente nel sangue.
I polimeri biodegradabili devono rispondere a requisiti ben precisi quali
purezza, non tossicità, buone proprietà meccaniche, capacità di essere
lavorati in film, tubi, filamenti, ecc., sterilizzabilità, compatibilità con i
tessuti. Lo scopo di un polimero biodegradabile è quello di funzionare
come una matrice per il farmaco e poi degradarsi in modo controllato,
rilasciandolo.
Il PCL risponde a questo tipo di caratteristiche, è compatibile con una
grande varietà di altri polimeri biodegradabili, permettendo numerose
applicazioni ed evidenziando diverse potenzialità. Oltre all’utilizzo in
campo farmaceutico-chirurgico, il PCL può essere usato come
flessibilizzante oppure miscelato con altri poliesteri preparati da
alcandioli e acidi alcandicarbossilici con sostanze naturali, forgiate in
contenitori per ortocolture; erbicidi in fibre di PCL sono stati utilizzati
per il controllo delle alghe acquatiche; la copolimerizzazione dell’ε-
caprolattone con altri idrossiacidi permette di ottenere una varietà di
poliesteri con un ampio range di degradabilità.
Il PCL è parzialmente cristallino e fonde a temperatura relativamente
bassa (60°C); si ottiene per polimerizzazione via apertura dell’anello
18
dell’ε-caprolattone; si tratta di una polimerizzazione bulk, che può
procedere per via anionica o cationica attraverso attacco all’ossigeno
acilico[27] .
Campioni di PCL linear e star-branched si possono ottenere partendo
da ε-caprolattone, usando dodecanolo e tris -idrossietil-isocianurato
come iniziatori e titanio tetrabutossido come catalizzatore. La
correlazione fra la viscosità intrinseca (η) e il peso molecolare medio
numerale, riportati in letteratura per il PCL ottenuto via
polimerizzazione cationica, è rispettata dai campioni lineari. Si evidenzia
che i campioni star-branched mostrano, in soluzioni diluite, un
comportamento idrodinamico tipico dei polimeri star-branched
(Manaresi et al.[17] , 1990).
Il poli-ε-caprolattone può essere ottenuto per polimerizzazione anionica
via apertura dell’anello in presenza di diversi iniziatori, quali sali di
stagno. Per le sue possibili applicazioni in campo medico e
farmaceutico è, però, preferibile un prodotto privo di ioni di metalli
pesanti: per questo motivo si è studiata una polimerizzazione promossa
dal sodio ciclopentadienile - che agisce deprotonando il monomero -,
per le sue caratteristiche di non tossicità (Yuan et al.[18] , 1998). Dalla
variazione e dal confronto di diversi parametri si conclude che PCL ad
alto peso molecolare si ottiene conducendo la reazione in bulk, in
presenza di solventi non polari, con un alto rapporto
caprolattone/iniziatore, ad una temperatura non superiore ai 20°C e con
un tempo di reazione breve.
19
Eri Yoshida et al.[19] (1998) sintetizzano PCL con 2,2,6,6-
tetrametilpiperidina-1-ossile (TEMPO) alla fine della catena, tramite la
polimerizzazione anionica del caprolattone con il tri(4-ossi-
TEMPO)alluminio. Tale PCL si comporta come un radicale polimerico
per la polimerizzazione radicalica dello stirene, dando poli(CL-block-
stirene). Tale polimerizzazione radicalica procede con un meccanismo
vivente; si discutono meccanismi di reazione e si analizzano le
caratteristiche dei copolimeri ottenuti per mezzo di analisi 1HNMR,
ESR, GPC e DSC.
Darwis et al.[20] (1998) hanno studiato il comportamento del PCL
sottoposto a radiazioni gamma in diverse fasi, quali stato solido, stato
fuso e stato superraffreddato per mostrarne il comportamento dovuto
al cross-linking. Le caratteristiche messe in evidenza tramite analisi
DSC e GPC e lo studio delle proprietà meccaniche, mostrano che il
PCL modificato tramite radiazione diventa adatto a molteplici
applicazioni industriali.
Il poli-ε-caprolattone è largamente utilizzato in copolimerizzazioni con
altri polimeri. e numerosi sono gli esempi riportati in letteratura.
Utilizzando il poli-metilmetacrilato-1,2-diolo come iniziatore della
polimerizzazione via apertura dell’anello dell’ε-caprolattone si ottiene
un polimero a forma di T in cui il PCL forma il supporto centrale e il
PMMA la catena pendente (Rimmer e George[21] , 1993).
Tali PCL-PMMA polioli innestati, (P(CL-g-MMA)s), vengono
successivamente utilizzati per produrre poliuretani, P(U-g-MMA)s, con