Patto territoriale e modello di sviluppo locale: il caso del Patto agricolo Nord Barese - Ofantino
Autore
Luigi Roselli - Università degli Studi di Bari - [2000-01]
Documenti
Abstract
I PATTI TERRITORIALI E LO SVILUPPO LOCALE
Nel corso degli ultimi vent'anni si è assistito, in Italia, al progressivo affermarsi dei sistemi economici territoriali basati sulle piccole e medie imprese. Ovviamente, in questo lasso di tempo si sono moltiplicati gli studi finalizzati a comprendere il fenomeno dello sviluppo locale con particolare riferimento, da un lato, all'analisi delle condizioni strutturali e funzionali dei sistemi produttivi, dall'altro, alle eventuali condizioni necessarie per la replicabilità di tali modelli di sviluppo.
L’approfondimento dell’analisi ha offerto rilevanti implicazioni politiche e, in particolare, è emersa l’opportunità di orientare l’intervento pubblico verso policies capaci di costruire, dal basso, processi di sviluppo locale in contesti territoriali con particolari ritardi. Tali riflessioni hanno avuto un impatto di notevole rilevanza per le regioni del Mezzogiorno, specialmente nella fase di passaggio dal modello di sviluppo incentrato su politiche di tipo top-down a modelli di sviluppo incentrati su politiche di concertazione, costruite e definite dai soggetti pubblici e privati a livello locale, le politiche bottom-up (Santandrea, 1997).
Nei primi anni novanta si assiste, infatti, all'affermazione della programmazione negoziata quale approccio innovativo istituito dal Governo italiano per promuovere, soprattutto nel Mezzogiorno, la formazione e lo sviluppo dei sistemi locali di imprese.
La principale novità di questo approccio consiste nel dotare di uno strumento operativo i criteri di ''sussidiarietà - partenariato - programmazione'' che definiscono il percorso più logico per promuovere processi di sviluppo locale (Hoffmann e Leone, 1998).
Infatti, l'istituto della programmazione negoziata riconosce le potenzialità e le specificità dei diversi ambiti territoriali e, di conseguenza, individua la possibilità di progettare e attuare programmi di intervento su base locale (sussidiarietà). Tale logica comporta l'assunzione di un ruolo attivo da parte dei soggetti locali (pubblici e privati), chiamati ad essere i promotori e i principali protagonisti dei progetti di sviluppo del proprio territorio (partenariato). La strategia è quella di fondare lo sviluppo sulle reali esigenze delle forze sociali, nella convinzione che i progetti promossi in sede locale, da coloro che meglio conoscono il territorio, possano rappresentare il modo migliore per allocare le disponibilità e attivare le risorse autoctone (programmazione).
Uno degli strumenti operativi della programmazione negoziata è il Patto territoriale: accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o altri soggetti pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale (Legge 662/96 Art. 2 Comma 203, Lettera d). I Patti territoriali si propongono, quindi, di sostenere lo sviluppo locale e l'occupazione attraverso la definizione di una strategia comune tra i diversi attori che operano sullo stesso territorio (rappresentanti degli industriali e dei lavoratori, enti locali, imprese, banche, fondazioni, università, ecc.).
Il ruolo dello Stato, in tale contesto, risiede nel mettere a disposizione degli attori locali le risorse e gli strumenti per raggiungere gli obiettivi proposti e nell'attività di controllo e di valutazione dei risultati ottenuti.
Nel 1998 gli strumenti della programmazione negoziata sono stati estesi al settore agricolo suscitando grande attenzione da parte degli amministratori locali e dei rappresentanti della cosiddetta ''società di mezzo'', certi di entrare in possesso di uno strumento di grande impatto sulla promozione e lo sviluppo rurale del Mezzogiorno (De Meo e Nardone, 2000).
Questo modello di programmazione ha avuto un notevole riscontro nel settore primario; infatti, in fase di istruttoria bancaria è emerso un alto grado di vitalità progettuale del sistema agricolo che nel giugno del 2000 ha portato all'approvazione da parte del Ministero del Bilancio di 91 Patti specializzati nei settori dell'agricoltura e della pesca, 67 localizzati nel Mezzogiorno e 24 nel Centro - Nord.
Le peculiarità e le novità di questo strumento di intervento, insieme all’attenzione che esso ha suscitato stimolano, inevitabilmente, una maggiore riflessione sulle sue caratteristiche e, soprattutto, sulla sua implementazione. Tale riflessione si rende ancora più necessaria se si considera che più d’un autore ha espresso una posizione decisamente critica rispetto all'efficienza e all’efficacia dei Patti Territoriali (Fadda, 1999; De Muro, 1999; De Rita, 2001), considerando che, pur essendo stati progettati per favorire lo sviluppo locale, nella loro traduzione operativa essi si tramutano semplicemente in ulteriori strumenti assistenzialisti.
Nel corso degli ultimi vent'anni si è assistito, in Italia, al progressivo affermarsi dei sistemi economici territoriali basati sulle piccole e medie imprese. Ovviamente, in questo lasso di tempo si sono moltiplicati gli studi finalizzati a comprendere il fenomeno dello sviluppo locale con particolare riferimento, da un lato, all'analisi delle condizioni strutturali e funzionali dei sistemi produttivi, dall'altro, alle eventuali condizioni necessarie per la replicabilità di tali modelli di sviluppo.
L’approfondimento dell’analisi ha offerto rilevanti implicazioni politiche e, in particolare, è emersa l’opportunità di orientare l’intervento pubblico verso policies capaci di costruire, dal basso, processi di sviluppo locale in contesti territoriali con particolari ritardi. Tali riflessioni hanno avuto un impatto di notevole rilevanza per le regioni del Mezzogiorno, specialmente nella fase di passaggio dal modello di sviluppo incentrato su politiche di tipo top-down a modelli di sviluppo incentrati su politiche di concertazione, costruite e definite dai soggetti pubblici e privati a livello locale, le politiche bottom-up (Santandrea, 1997).
Nei primi anni novanta si assiste, infatti, all'affermazione della programmazione negoziata quale approccio innovativo istituito dal Governo italiano per promuovere, soprattutto nel Mezzogiorno, la formazione e lo sviluppo dei sistemi locali di imprese.
La principale novità di questo approccio consiste nel dotare di uno strumento operativo i criteri di ''sussidiarietà - partenariato - programmazione'' che definiscono il percorso più logico per promuovere processi di sviluppo locale (Hoffmann e Leone, 1998).
Infatti, l'istituto della programmazione negoziata riconosce le potenzialità e le specificità dei diversi ambiti territoriali e, di conseguenza, individua la possibilità di progettare e attuare programmi di intervento su base locale (sussidiarietà). Tale logica comporta l'assunzione di un ruolo attivo da parte dei soggetti locali (pubblici e privati), chiamati ad essere i promotori e i principali protagonisti dei progetti di sviluppo del proprio territorio (partenariato). La strategia è quella di fondare lo sviluppo sulle reali esigenze delle forze sociali, nella convinzione che i progetti promossi in sede locale, da coloro che meglio conoscono il territorio, possano rappresentare il modo migliore per allocare le disponibilità e attivare le risorse autoctone (programmazione).
Uno degli strumenti operativi della programmazione negoziata è il Patto territoriale: accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o altri soggetti pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale (Legge 662/96 Art. 2 Comma 203, Lettera d). I Patti territoriali si propongono, quindi, di sostenere lo sviluppo locale e l'occupazione attraverso la definizione di una strategia comune tra i diversi attori che operano sullo stesso territorio (rappresentanti degli industriali e dei lavoratori, enti locali, imprese, banche, fondazioni, università, ecc.).
Il ruolo dello Stato, in tale contesto, risiede nel mettere a disposizione degli attori locali le risorse e gli strumenti per raggiungere gli obiettivi proposti e nell'attività di controllo e di valutazione dei risultati ottenuti.
Nel 1998 gli strumenti della programmazione negoziata sono stati estesi al settore agricolo suscitando grande attenzione da parte degli amministratori locali e dei rappresentanti della cosiddetta ''società di mezzo'', certi di entrare in possesso di uno strumento di grande impatto sulla promozione e lo sviluppo rurale del Mezzogiorno (De Meo e Nardone, 2000).
Questo modello di programmazione ha avuto un notevole riscontro nel settore primario; infatti, in fase di istruttoria bancaria è emerso un alto grado di vitalità progettuale del sistema agricolo che nel giugno del 2000 ha portato all'approvazione da parte del Ministero del Bilancio di 91 Patti specializzati nei settori dell'agricoltura e della pesca, 67 localizzati nel Mezzogiorno e 24 nel Centro - Nord.
Le peculiarità e le novità di questo strumento di intervento, insieme all’attenzione che esso ha suscitato stimolano, inevitabilmente, una maggiore riflessione sulle sue caratteristiche e, soprattutto, sulla sua implementazione. Tale riflessione si rende ancora più necessaria se si considera che più d’un autore ha espresso una posizione decisamente critica rispetto all'efficienza e all’efficacia dei Patti Territoriali (Fadda, 1999; De Muro, 1999; De Rita, 2001), considerando che, pur essendo stati progettati per favorire lo sviluppo locale, nella loro traduzione operativa essi si tramutano semplicemente in ulteriori strumenti assistenzialisti.
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