Nucleare: la prima tra le fonti alternative
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[25/05/2007]
Pubblicato su Finanza Italiana novembre-dicembre 2007

Il prezzo del petrolio è risultato tra i più volatili ed ha risentito dell’andamento delle vicende politiche internazionali più importanti. La sua volatilità e l’importanza del petrolio per la produzione energetica e industriale sono da annoverare tra le principali cause delle crisi economiche che hanno caratterizzato la seconda parte del XX secolo e il principio del XXI. È sufficiente ricordare la crisi petrolifera del 1973, quella del 1979 e i successivi picchi del prezzo del petrolio meramente speculativi, fino a quella dell’agosto 2006 che ha sfiorato i 75 euro al barile. Oggi il prezzo è nuovamente sceso fino a raggiungere i 58 dollari al barile, che dovrebbe ulteriormente ribassare, considerato il rallentamento dell’economia mondiale nel prossimo anno.


L’Europa, ma in misura maggiore l’Italia, si trova oggi in una sconfortante situazione di dipendenza energetica. Il sistema italiano di produzione elettrica è prevalentemente di tipo termico e idroelettrico e si fonda, quindi, sullo sfruttamento di combustibili di origine fossile, come il petrolio o il gas, e sull’energia idraulica. Ne consegue una dipendenza dagli approvvigionamenti esteri pari all’80% del totale e quindi dall’andamento del loro prezzo sui mercati internazionali. Secondo l’Enel, il grado di dipendenza petrolifera dell’Italia dall’Estero è dell’83% e il petrolio ha un’incidenza nel bilancio energetico italiano del 52,4%, contro una media mondiale del 38,5%. È una situazione, quella italiana, che si differenzia enormemente dal resto d’Europa, che, al contrario, produce elettricità in prevalenza da carbone e nucleare, e fa sì che il nostro paese subisca i maggiori costi dell’energia elettrica, con un prezzo del chilowattora, sempre secondo l’Enel, che supera del 22% la media europea.

Secondo i dati Enel, nel 2004 erano in esercizio 440 impianti nucleari in 31 nazioni. Essi producevano circa il 6% della produzione di energia primaria nel mondo. Gli Stati Europei sono tra i maggiori produttori mondiali di energia nucleare, seguiti dagli Stati Uniti e, a grande distanza, dal Giappone e dalla Corea (sia del Nord che del Sud). L’ EIA (Energy Information Administration), l’istituto che fornisce le Statistiche ufficiali al Governo degli Stati Uniti riguardanti il nucleare, prevede che lo scenario mondiale cambierà sostanzialmente nell’arco dei prossimi trent’anni e che il massimo produttore diventerà il Nord America, seguito dall’Europa e dall’Asia, con uno scarto tra le due produzioni, europea e asiatica, non molto ampio. Nel suo complesso la produzione di nucleare, secondo tale istituto, è destinata ad aumentare.



In Europa, come mostra la mappa geografica, tutti i principali Paesi sono dotati di centrali elettronucleari. Il mix europeo di generazione elettrica vede il nucleare coprire una quota del 32%. Il paese che più degli altri ha puntato su di una politica energetica nucleare è la Francia, che pur ha dovuto affrontare il dibattito con l’opinione pubblica e la condanna degli ambientalisti. Sul territorio francese sono attive oggi, infatti, 56 centrali nucleari, che coprono l’80% del fabbisogno elettrico nazionale. Anche il Belgio provvede al 65% circa del proprio fabbisogno energetico con la produzione di energia elettrica di origine nucleare.



L’Italia, al contrario, con il referendum dell’8 novembre 1987, anche per effetto dell’impatto psicologico che la tragedia di Chernobyl del 1986 ebbe sull’opinione pubblica, ha rinunciato a perseguire una politica nucleare propria. Con quel referendum l’Italia decise l’abrogazione di tre norme, riguardanti rispettivamente l’autorizzazione all’Enel di eseguire progetti nucleari all’estero, i contributi finanziari per gli enti locali che accettavano centrali nucleari sul proprio territorio e la delega al CIPE – Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica – per la localizzazione degli impianti nucleari. L’Italia bloccò, inoltre, i tre impianti che erano in esercizio (Latina, Caorso e Trino Vercellese) e rinunciò alla realizzazione di un impianto che era in fase avanzata di costruzione (Montalto di Castro).

Il dibattito sul nucleare vede le associazioni ambientaliste in disaccordo. Spesso i toni sono accesi e danno luogo ad esagerazioni. Più che mai sono attive quelle ambientaliste francesi, che hanno formato un cartello di 720 associazioni, denominato «sortir du nucléaire» (uscire dal nucleare). Al contempo, però, esiste una corrente diversa all’interno degli stessi ecologisti, l’«Associazione degli ecologisti per il nucleare», che è composta da 6 mila aderenti in 45 paesi e che sostiene i vantaggi ecologici di questa fonte energetica. Last but not least la stessa Greenpeace, per voce di Patrick Moore, uno dei suoi fondatori, sul quotidiano francese Le Monde sostiene, senza mezzi termini, che l’atomo è «la sola fonte energetica in grado di salvare il nostro pianeta».




A parte le esaltazioni che spesso caratterizzano gli ambienti associazionistici ed ecologisti, l’atomo è di fatto una fonte energetica che presenta molti vantaggi. In primo luogo, l’economicità della sua produzione. È stato calcolato, secondo quanto riportato da “Centimetri”, l’agenzia dell’Ansa, che, nella graduatoria dei costi di produzione, l’energia nucleare è al secondo posto (25 euro/MegaWatt ore), mentre la fonte energetica più a buon mercato è l’idroelettrica (20 euro/MegaWatt ore).

Un altro aspetto che costituisce un vantaggio della produzione energetica nucleare risiede nel processo di produzione, che prevede emissione zero di anidride carbonica. Ai fini della produzione elettrica, la trasformazione nucleare che libera energia d'interesse industriale è, almeno per ora, la fissione, che consiste, in pratica, nella “rottura” di nuclei pesanti, come quelli di uranio. Con questo processo il nucleo di un isotopo pesante dell'uranio viene sottoposto a “bombardamento” di neutroni, si scinde in due grossi frammenti e produce energia e due o tre neutroni, che a loro volta possono “bombardare” altri isotopi di uranio, innescando una reazione a catena. Il calore prodotto in grande quantità viene canalizzato da opportuni sistemi di raffreddamento e trasferito a generatori di vapore, i quali, a loro volta, azionano gruppi turboalternatori per la produzione di energia elettrica. Tutto questo procedimento non comporta alcuna emissione di anidride carbonica. Un vantaggio non indifferente se si considera che, secondo previsioni delle EIA (Energy International Agency), a parità di condizioni, la produzione mondiale di anidride carbonica nel giro di 30 anni aumenterà del 50%.
Gli impianti nucleari europei appartengono alla seconda generazione di reattori. Erano stati pensati per durare 40 anni. Si trovano, oggi, però, già in uno stadio avanzato gli studi relativi alla terza generazione di reattori nucleari, che dovranno sostituire entro 13 anni i 46 reattori europei in fase di esaurimento (i paesi più coinvolti dall’obsolescenza sono il Regno Unito e la Francia con 12 reattori ciascuno, la Germania con 8, e la Svezia con 6). Il direttore del dipartimento Fusione, Tecnologie e Presidio nucleare dell’Enea, Alberto Renieri, ha spiegato, in un recente articolo comparso sul Sole 24 Ore, che è però possibile “ringiovanire” gli attuali reattori di seconda generazione di almeno 10 anni, aumentando le prestazioni di sicurezza e renderli del tutto simili ai reattori di terza generazione.
Il vero problema dell’energia nucleare ancora non del tutto risolto riguarda le scorie radioattive, ovvero lo smaltimento dei sottoprodotti della fissione nucleare, che sono radioattivi per migliaia, a volte milioni di anni. La pratica più diffusa è quella di seppellirli a grandi profondità in terreni con formazioni rocciose stabili. Recentemente, però, è stato sperimentato un particolare tipo di reattore nucleare, che ha la funzione di utilizzare il 95% dei sottoprodotti dei tradizionali reattori, costituito da uranio non convertito. Questa particolare tipologia di reattore sperimentale prende il nome di “reattore nucleare subcritico” ed è stato sperimentato con il nome di “progetto Kart” dall’Università di Kyoto, in Giappone. Utilizzando le parti più pesanti dell’uranio, il reattore subcritico produrrà una dose ulteriore di energia con scorie finali che in un primo tempo saranno più radioattive, ma che durano poche centinaia di anni, quindi molto meno delle scorie tradizionali, con il vantaggio di produrre maggiore energia. Questo tipo di reattore entrerà in produzione entro il 2015, grazie alla sinergia nelle ricerche di fisici giapponesi ed europei.

In conclusione, la bolletta energetica è alta in tutto il mondo e, fra i paesi industrializzati, l’Italia si trova in una posizione svantaggiata. Gli alti costi non dipendono tanto dalla scarsità delle riserve di idrocarburi, che, anzi, possono considerarsi pressoché inesauribili, quanto piuttosto dagli instabili equilibri internazionali e dal ricatto sempre possibile da parte dei massimi produttori di petrolio, appartenenti per lo più all’OPEC, nei confronti dell’occidente. Questa situazione comporta inevitabilmente un rallentamento della produzione mondiale e dello sviluppo in genere e una perdita della competitività per quei paesi occidentali che non riusciranno a diversificare tempestivamente le fonti energetiche, attingendo a quelle a più alti rendimenti, in primo luogo a quella nucleare, e non a quelle che rappresentano meri palliativi (energia solare, eolica, movimento delle maree ecc.). Il problema non si risolve con la “politica dello struzzo”, chiudendo le centrali nucleari sul territorio nazionale e acquistando a caro prezzo l’energia nucleare dai paesi confinanti. Essa si risolve considerando che già oggi l’energia nucleare è tra le più ecologiche nell’ambito di quelle a sufficiente tasso di rendimento e sviluppando la ricerca per un rapido e ragionevole smaltimento delle scorie radioattive. La ricerca prosegue anche nell’ambito di altri processi produttivi dell’energia nucleare. Ma sono ancora lunghi i tempi per sperimentare su larga scala l’uso della fusione nucleare ai fini della produzione industriale.
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