L’America’s Cup da molti definita la Formula 1 del mare è finalmente sbarcata in Europa. La vicinanza dei campi di regata ne ha fatto crescere l’interesse anche tra noi italiani, definiti un tempo popolo di navigatori. A tal riguardo, può essere noto che molti sono gli studi che facendo uso di potenti e costosi mezzi per il calcolo computazionale sono volti a migliorare le prestazioni di questi scafi estremi. Ciò che forse può sorprendere è che, coniugando la scoperta di un componente apparentemente banale nato nel mondo delle corse automobilistiche con lo studio della fisica di base della navigazione a vela, si possano ugualmente prevedere aumenti di prestazioni a costi molto più contenuti quindi accessibili a tutti.

L’elemento in questione è il Flap di Gurney che prende il nome dal suo ideatore, prima famoso pilota poi affermato costruttore di auto per le competizioni statunitensi. In principio, si trattava di una striscia d’alluminio avente sezione ad “L” che Gurney voleva collocata sulla coda degli alettoni posteriori delle sue auto, in particolare nella loro parte superiore. Egli pensava così di bloccare il flusso d’aria in uscita dall’auto, obbligandolo “a lavorare” per un tempo maggiore sull’alettone in modo da incrementarne gli effetti di portanza. L’intuizione ebbe successo: le auto effettivamente vedevano aumentate le loro caratteristiche di aderenza soprattutto alle ridotte velocità di curva senza subire riduzioni significative nelle velocità di punta in rettilineo.
Numerosi studi in galleria del vento hanno poi confermato l’efficienza del comportamento di questa piccola appendice, interpretandone anche il modello fisico alla base. Infatti, è confermato che il Flap di Gurney rallenta la velocità del flusso d’aria sulla superficie superiore dell’alettone, incrementando quindi la componente di pressione del flusso stesso. In secondo luogo, un alettone modificato con il Flap di Gurney genera a valle dello stesso una scia di vortici comunemente noti come vortici di Von Karman; questi nella loro dinamicità sembrano aspirare il flusso proveniente dalla superficie inferiore dell’alettone. Il risultato complessivo di questi due fenomeni è un incremento della circolazione aerodinamica attorno all’alettone, ossia degli effetti di portanza.
E’ stato anche individuato il motivo della pressoché nulla resistenza all’avanzamento che il Flap di Gurney offre; a differenza di tutti le altre tipologie di flap che troviamo in aeronautica ed anche in qualche imbarcazione sotto il nome di “trim-tab”. Le sue dimensioni, dell’ordine del 5% della corda dell’alettone, sono tali che questo si trova a lavorare immerso nello strato limite, la cui caratteristica turbolenza è già origine della maggior parte della resistenza. Il Gurney in definitiva non tende ad interferire con il flusso indisturbato.
Ma in che modo una banale striscia di materiale con sezione ad “L” costante ed opportunamente dimensionata può riuscire ad incrementare le prestazioni di uno scafo?

La barca a vela è un corpo pressoché unico nel suo genere. Infatti, trova il suo equilibrio dovendo interagire con due fluidi. Prendendo a riferimento il modello semplificato di un’imbarcazione che procede controvento, si ha l’ acqua che agisce su un’appendice verticale dello scafo chiamata deriva. Poi, si ha l’aria che genera le sue forze interagendo con le vele. In definitiva, una barca a vela che procede in moto rettilineo a velocità costante è un corpo dove le forze risultanti generate dal flusso d’acqua che incontra la deriva si devono equilibrare con le forze risultanti generate dal flusso d’aria che incontra le vele.
In particolare, la deriva di un’imbarcazione è un profilo aerodinamico al pari dell’alettone, con la differenza sostanziale che, a differenza della seconda, la prima ha sezione simmetrica poiché deve poter generare portanza da entrambi i lati del profilo, vale a dire in ogni condizione di navigazione. Mentre l’alettone ha l’unica necessità di generare una forza sempre diretta verso il suolo. Però, una superficie aerodinamica simmetrica come quella di una deriva può generare portanza solo se incontra il fluido in cui si trova immersa con un angolo d’incidenza diverso da zero. E’ questa l’origine dell’angolo di scarroccio con cui ogni timoniere deve fare i conti nella conduzione della propria imbarcazione. Infatti, tale angolo può essere identificato come misura della deviazione dalla rotta tenuta. In aggiunta, è anche direttamente proporzionale alla resistenza all’avanzamento della deriva.
Adottare una barca a vela con un Flap di Gurney capace di posizionarsi da entrambi i lati della deriva significherebbe quindi abbattere drasticamente questa deviazione, vale a dire accorciare le distanze da percorrere. Contemporaneamente, diminuendo la resistenza si potrà procedere più velocemente.

In conclusione, è stato provato che dal punto di vista del modello fisico, un Flap di Gurney rappresenta una soluzione che tende a migliorare le prestazioni di una barca a vela in modo significativo. I costi dal punto di vista del materiale sembrano inoltre irrisori rispetto a quanto è necessario per la costruzione di uno scafo, delle sue appendici e dell’albero. Il passo successivo e probabilmente ultimo, che giustificherebbe la realizzazione di un prototipo, è quello di individuare una modalità di comando del Flap che sia la meno invasiva possibile. Ma già, le qualità piezoelettriche dei materiali compositi avanzati, di cui si comincia a far uso nei velivoli a comando remoto o UAV, sembrano offrire la soluzione.