Se in alcuni settori, quelli caratterizzati dalle grandi economie di scala, i “classici” metodi estimativi, quello patrimoniale e quello reddituale, riescono a dare risposte concrete ai processi di valutazione delle aziende; in altri settori, quale quello dei servizi o anche quelli ad alto contenuto tecnologico in cui la presenza dei beni Intangibili è molto forte, si evidenziano delle carenze.
Il costo di riproduzione deprezzato, su cui si basa il metodo patrimoniale, è un valore, che come si è sottolineato, dipende dal tasso di ammortamento e dalla vita utile del bene in questione; nel caso di un Intangibile, tale procedimento diventa molto complesso perché, come vedremo, è quasi impossibile, in tal caso, stabilirne il valore residuo con metodi oggettivi, determinare i costi suscettibili di “capitalizzazione”, la durata del procedimento di ammortamento e il criterio per la ripartizione del valore da ammortizzare nel tempo. Inoltre, nel calcolo dell’attivo dell’impresa che deve essere deprezzato, vengono considerate solo le voci dei beni immateriali presenti in Bilancio, che sicuramente non rappresentano l’intero mondo intangibile che circonda l’azienda.
Il metodo reddituale sembrerebbe, a questo punto, il procedimento più opportuno nella valutazione di aziende a forte presenza di Intangibili, anche se caratterizzato da una notevole presenza di deduzioni soggettive che ne mina l’obiettività. Il problema fondamentale di questo metodo è il calcolo del saggio di capitalizzazione e, soprattutto, dell’influenza degli Intangibili su di esso. La valutazione del Capitale Intellettuale dell’ impresa è un problema che affligge l’economia da parecchi anni, il concetto di immaterialità e la difficile commerciabilità degli Intangibili rendono complicata la risoluzione di tale quesito. La globalizzazione, la maggiore concorrenza, la nascita della cosiddetta knowledge economy hanno aumentato l’interesse nei confronti delle risorse immateriali: l’informazione, la conoscenza, il know – how, la ricerca e cosi via, sono alla base del processo evolutivo e innovativo delle imprese e non possono non essere considerate nella valutazione della “performance” aziendale.

Sono stati elaborati numerosi ed innovativi metodi di misura e gestione degli intangibili, proposti sia in ambito accademico sia in ambito manageriale. Questi strumenti, tuttavia, tardano ad essere accettati su larga scala dalle aziende a causa della soggettività ed, a volte, della parzialità delle valutazioni prodotte, soprattutto se paragonate al tradizionale bilancio di esercizio. L’analisi dei metodi di misurazione degli assets intangibili, inoltre, ha messo in luce la mancanza di un’esplicita identificazione degli effetti prodotti dagli investimenti in assets intangibili e dalla loro efficiente gestione sulla performance aziendale.
Quello che emerge dalla rassegna critica effettuata si può riassumere in tre punti:
1. molti dei metodi proposti, soprattutto nella categoria Balanced Scorecard, risultano essere dei validi strumenti di gestione degli intangibili, ma non di misurazione (Balanced Scorecard, Skandia Navigator)
2. i metodi molto spesso tentano di attribuire un valore economico all’intangibile, ma poi non cercano di stabilire qual è l’effettivo impatto di questi assets sulla performance aziendale, o almeno non riescono a risolvere compiutamente questo problema (Technology Broker)
3. solo con i metodi MCM e ROA si ricavano degli indici che permettono un confronto tra le imprese riguardo un’efficiente gestione degli intangibili.
La produttività e la performance aziendale dipendono in misura sempre maggiore dal rendimento del patrimonio di conoscenza dell’impresa e dalla corretta gestione degli intangible assets. Ne è prova il profondo interesse in relazione a tale tema degli ultimi tempi.
L’ emissione dei nuovi principi contabili internazionali, gli IAS/IFRS, ha, per certi aspetti, sicuramente migliorato la qualità delle modalità di contabilizzare determinate operazioni di gestione straordinaria, dell’iscrizione dell’avviamento e degli intangibili specifici acquisiti e ha certamente, accresciuto la comparabilità dei Bilanci a livello internazionale. Forti critiche, però, non sono mancate; soprattutto in relazione agli ingenti costi necessari per una più complessa gestione della contabilità aziendale ed anche in relazione ad alcune importanti carenze individuate. Per quanto ci riguarda, una carenza fondamentale si riscontra nell’incapacità di individuare come “attività”, da parte dei nuovi principi, le risorse Intangibili generate internamente. Anche se la conclusione a cui lo IASB è giunto, è coerente con la definizione di attività proposta e i criteri seguiti, comunque appare difficile accettare le presunzioni assolute dei nuovi principi che non rilevano come Intangibili e come risorse immateriali i marchi, le spese di ricerca, di formazione, le anagrafiche clienti, i diritti editoriali e così via. D’altro canto, chi promuove queste critiche non è giunto ancora ad una conclusione alternativa priva di riferimenti soggettivi. In definitiva, dall’analisi effettuata, non è stata riscontrata una metodologia analitica, capace di esprimere e individuare un valore preciso e obiettivo del capitale intellettuale dell’impresa oggetto di stima; i metodi proposti sembrano servire più da supporto a valutazioni di carattere strategico – produttivo, che ad una misurazione degli Intangibili. A questo punto, la metodologia di valutazione più opportuna, appurata la difficoltà di determinare un valore analitico da capitalizzare per i beni immateriali, risulta essere quella reddituale, sfruttando, però, nella “costruzione” del saggio di capitalizzazione, le metodologie proposte per la misurazione degli Intangibili al fine di valutare, anche se con spunti soggettivi importanti, le influenze che questi beni possono avere, eventualmente, sul saggio stesso.