La parola “diamanti” rimanda subito alla mente immagini come i gioielli della Regina d’Inghilterra, James Bond e costosi anelli di fidanzamento, difficilmente ricorda un computer; eppure le proprietà dei diamanti, eccezionali reticoli cristallini del carbonio che si estraggono da una roccia vulcanica chiamata kimberlite, hanno ben altre applicazioni reali e potenziali, a partire dagli strumenti di taglio fino ad arrivare ai sistemi di funzionamento di microelettronica. Spesso però i diamanti naturali non sono utili per creare superfici particolarmente sottili per diversi dispositivi, quindi ci si è recentemente basati, per creare al meglio queste strutture, sui diamanti sintetici, le moissaniti, ottenute con procedimenti ad altissima pressione, a condizioni pari a quelle presenti a 100 km sotto il livello del suolo. Il problema sostanziale è che fino ad ora questi metodi di riproduzione sono sempre risultati ingombranti, dispendiosi e non certo ideali per ottenere comunque diamanti che avessero delle superfici di rilevante dimensione.
E’ recentemente emerso uno studio molto interessante dai ricercatori della Minnesota University, settore Supercomputing, per ciò che riguarda le simulazioni di un nuovo metodo, il cosiddetto CVD, ovvero il sistema di deposizione di vapore chimico a bassa pressione, che fino ad ora era stato osteggiato, poiché rendeva difficile il controllo della stabilità del reticolo cristallino in fase di crescita (fattore essenziale per mantenere inalterate le caratteristiche fisico-gemmologiche dei prodotti).
Il punto di partenza di questo lavoro è uno schema 69 reazioni chimiche diverse, ognuna delle quali corrisponde ad un importante stadio della conversione dalla fase gassosa dei radicali metilici (-CH3) al diamante solido in tempi molto minori rispetto agli attuali 28nm/s. Il particolare di questo nuovo procedimento è l’inclusione di nuove reazioni chimiche che permettono la migrazione di frammenti contenenti carbonio attraverso una superficie crescente del diamante; una volta determinate le velocità di reazione per le condizioni operative della CVD (tra le 10 e le 27 atmosfere di pressione), si è sperimentato un accumulo di questi frammenti migrati su una dimensione decisa a priori, verificando che la struttura ottenuta corrispondesse al cristallita corretto.
I test successivi verranno condotti, stando alle dichiarazioni del project leader Jeffrey Roberts, per verificare se esistano dei limiti di crescita oltre i quali si subisce una deformazione strutturale (ricordiamo che il record attuale è detenuto del Carnegie Institute con una pietra da 300 carati) e a quali altre condizioni di funzionamento dei reattori CVD sia possibile condurre efficacemente questi procedimenti.

Federico Buccarella